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Hashtag: dove finiscono gli hashtag?

Ma soprattutto, finiscono mai gli hashtag?

Siamo sinceri: abbiamo già capito che qualcuno è praticamente quotidiano, proprio come il pane. Come potrà mai scomparire l’hashtag #caffe, per esempio? Provate a cliccarlo anche ora su qualunque social network a prova di hashtag e vi accorgerete che non importa quale momento della giornata sia, anno o stagione: da Napoli a New York il #caffe è intramontabile.

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Gli hastag sono ormai su tutti i Social

Considerando anche che ogni giorno sono 130 milioni gli hashtag generati dagli utenti solo su twitter, pare impossibile la fine di questo bizzarro amore per il cancelletto. Anzi, il cancelletto più famoso della storia è stato messo in sicurezza, essendo già transitato su tutti i social, compreso Youtube. Al massimo qualcuno potrebbe cadere nel dimenticatoio o essere riesumato di tanto in tanto: possibilità eventualmente da sfruttare per una digital strategy performante.

Di certo con l’uso e il consumo che se ne fa, anche spropositato, rimane un mezzo da maneggiare con cura.

Hashtag: la fortuna del principiante

Hashtag è il nome composto delle parole inglesi “hash”, che significa “cancelletto” e tag che significa “etichetta”. La parola che segue il simbolo del cancelletto diventa, infatti, un’etichetta, un unico e inequivocabile titolo che raccoglie commenti e contenuti correlati. Ed è in questo che risiede la potenza del cancelletto, capace di mettere ordine tra le milioni d’idee espresse dagli utenti. Per questo l’hashtag è una chiave di lettura delle tendenze più in voga, funzionando lui stesso come una vera e propria parola chiave

Il primo a lanciarlo è stato Twitter e deve essere stata di certo una buona idea, dato il successo riscosso nella galassia social. Proprio nel 2017 ha compiuto 10 anni, ovvero da quel lontano 23 agosto del 2007 quando l’avvocato Chris Messina ne suggerì l’uso. Un consiglio che venne colto a ottobre dello stesso anno da Nate Ritter, in occasione dei forti incendi che si stavano diramando nella contea di San Diego. #sandiegofire può davvero essere ritenuto  il vero primo hashtag della storia, essendo stato il primo a essere twittato più volte.

Twitter, quindi, non è nato prevedendo la sua forza negli hashtag, ma inizialmente solo sul lancio di messaggi di poche battute, 140 per l’esattezza, raddoppiate da ottobre 2017, proprio in concomitanza del decennio dalla nascita di quello che è diventato il suo vero cavallo di battaglia. E non è stato neanche Twitter a inventarlo, che ha colto il suggerimento  dell’utente precisamente dal 1° giugno del 2009, quando l’hashtag è diventato ufficiale. Essendo stato il primo a generarli, chissà che non venga da lui la prossima evoluzione e che gli hashtag possano comprendere anche simboli, spazi o emoticon, che ancora oggi non s’illuminano dopo il cancelletto in nessun social.

hashtag

Hashtag: amore a prima vista

Per fornire qualche indicazione specifica sull’uso del cancelletto più popolare del web, vale la pena rispondere alla domanda iniziale: dove finiscono gli hashtag? Nel calderone virtuale della rete, dove tutto può succedere e ogni cosa è possibile. E’ qua che i post vengono indicizzati e, di conseguenza, se siamo abbastanza bravi anche il nostro brand beneficia di quest’onda positiva, aiutandoci a scalare le Serp in Google.

Come abbiamo già precisato, gli hashtag sono vere e proprie parole chiave, dall’utilizzo sia a breve che a lungo termine. Non per nulla anche i social prevedono hashtag correlati, proprio come le keywords. Motivo in più, quindi, per usarli con oculatezza, soprattutto per i social aziendali, ed evitare di svolgere un lavoro a vuoto. Io posso anche cavalcare l’onda e inserirmi nella lista degli hashtag più popolari di sempre o della giornata, rischiando che il mio post, comunque, venga visto per un nanosecondo e rimanere una goccia anonima nel caldo pentolone. Proprio come se scegliessi una parola chiave tra le più cliccate: anche qui il troppo storpia, non è efficace.

Il consiglio è certo di non smettere di accodarsi ai trend più influenti, perché appunto, tutto può succedere e anche un “mi piace” in più è sempre utile. Farsi notare, però, tra hashtag di nicchia ma pur sempre contagiosi rimane il miglior percorso. Così gli hashtag ci fanno trovare da chi è veramente interessato a ciò che abbiamo da dire, fermo restando che è sempre il contenuto ad essere fondamentale. “Content is king” non è da dimenticare neanche con gli hashtag: se ciò che scriviamo non ha abbastanza appeal, possiamo mettere tutti gli hashtag che vogliamo ma, poco leggibili, passeremo comunque inosservati.

Hashtag: usi e consumi sul web

Dato per certo che non muoiono mai, ci sono, però, hashtag e hashtag. Qualcuno è popolare su tutti i social o solo su alcuni, su altri vengono persino bannati. Per questo è necessario anche conoscere le conseguenze degli usi che se ne possono fare su Twitter e Facebook, piuttosto che su Instagram.

Di certo sono la cartina di tornasole delle tendenze e dei gusti globali. Per questo servono ai web marketing per studiare l’utenza e veicolarla, quanto agli utenti stessi per i quali sono di riferimento per ricerche individuali. Se voglio avere informazioni su un determinato argomento, per esempio, provo a digitarne l’hashtag e sicuramente potrò ottenere una lista abbastanza completa.

E’ così che vengono anche inventati, si sviluppano o vengono suggeriti se sono già presenti, come ormai succede il più delle volte. Tanto che alcuni si possono persino prevedere, come era plausibile che la partita di sabato sera tra Juve e Inter avrebbe avuto il suo #juveinter. A volte gli hashtag hanno addirittura anticipato le notizie, lanciando eventi prima dei quotidiani. Come nel caso della notizia della morte di Oscar Lugi Scalfaro, twittata un’ora prima della comunicazione ufficiale sui mass media.

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